Not Dark Yet…
8 Agosto 2008 da not dark yet
Not dark yet…*
“There’s not even room enough to be anywhere”
Boz2Art
Via Leopardi 26, 20123, Milano
Opening venerdì 19 settembre h. 17
Orario di Apertura:
sabato 20 h. 12 – 19
domenica 21 h. 12 – 19
info: +39 338 8610626
infonotdarkyet@gmail.com
A cura di Elena Bordignon
Artisti:
A12, Valerio Carrubba, Alessandro Ceresoli, Ettore Favini, Christian Frosi, Massimo Grimaldi, Giovanni Kronenberg, Farid Rahimi
Not dark yet… prende spunto dal quotidiano passaggio dal giorno alla notte. Momento lieve e silenzioso che cattura l’attenzione solo quando è stupefacente, quando colora le cose o quando le accarezza prima di nasconderle.
Il passaggio è quella zona senza punti, è solo tempo che trascorre nella mutazione di una cosa in un’altra: il fascino dello stare in mezzo, il limite di non stare da nessuna parte. La mostra si ispira a questo ‘evento’ in quanto metafora che sintetizzare il processo ambiguo che si attiva ogni qualvolta si è di fronte a un’opera d’arte: somma indeterminatezza da una parte e affermazione di una totale oggettività dall’altra.
Not dark yet… cerca di indagare la metafora del tramonto come pensiero ideale per stabilire i limiti e la tensione tra il fare e il fruire dell’opera d’arte. Il transitare tra la luce e il buio, ma anche tra la chiarezza e l’oscurità del senso, è da sempre uno dei ‘luoghi’ su chi la sensibilità artistica ha esteso e forzato la linea di confine. La traccia non è mai stata così labile come quella, appunto, tra una comprensione chiara e distinta e la totale perdita di certezze.
Gli escamotage riflessivi/espressivi di Valerio Carrubba che spingono la falsità delle rappresentazioni all’ennesima potenza: un ripiegamento che testimonia il raggiro ambiguo delle immagini ben descritto da Guy Debord.
La dissoluzione della materia nel lavoro di Alessandro Ceresoli che cerca in maniera grottesca di dare una rappresentazione sonora dell’effervescenza generata da una reazione chimica. Materia rigida e lucida costruita in sembianze/eco di un rumore che è per lo più mentale.
Ettore Favini pensa a tre oggetti su un tavolo realizzati con materiali classici della scultura: vetro, gres porcellanato e ottone. Tre forme ‘aperte’ alla ricerca di una perfezione impossibile. Il vetro mai completamente pulito, la sfera sempre disassata in qualsiasi posizione venga messa e la piramide sempre alla ricerca della posizione perfetta, che è il lato mancante.
Christian Frosi adotta la coreografia che disegna l’onda di una goccia che cade nell’acqua per spostare degli oggetti nello spazio espositivo. Mutamento ideale di cose quotidiane mischiate a sue creazioni. L’artista cerca di creare una geografia spaziale per confondere il limite e la sostanza del senso.
Con il lavoro di Massimo Grimaldi si mette a fuoco l’ambiguità di cosa/come/dove finisce lo spazio espositivo. L’artista disgrega il supporto/mezzo artistico rendendolo oggetto paradossale dove l’autorialità si perde nei clichè delle regole ad arte dell’arte.
Giovanni Kronenberg, affascinato da un oggetto carico di storia e di una forte valenza affabulatoria, incide su di esso un suo ritratto. Suggella così l’irrisolta ambiguità del passato racchiuso in questo oggetto antico, con la consapevolezza dell’enigma che si cela da sempre dietro ad un autoritratto
Farid Rahimi indaga nelle superfici pittoriche delle visioni naturali filtrate, però, da immagini video, fotografie o riproduzioni in 3D. Sintesi di un immaginario quasi monocromo stretto tra pennellate grigie e il nere senza profondità e prospettiva.
Gli A12 saranno presenti con un lavoro site-specific.
* Titolo preso in prestito da una canzone di Bob Dylan che parla d’amore, di tempo passato, di ricordi, di tristezza e di luoghi.
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