Furti dalla Postepay. Responsabile Poste Italiane se non prova che l’operazione fraudolenta è del cliente
27 Novembre 2020 da dagata
Furti dalla Postepay. Responsabile Poste Italiane se non prova che l’operazione fraudolenta è del cliente in caso di denuncia di uso indebito. La banca è tenuta a una diligenza tecnica da valutare con il parametro dell’accorto banchiere. Solo un grave ritardo dell’utente nella denuncia esclude la colpa
Quanti casi di furti dalla postepay e di utilizzo indebito di carte prepagate, di credito o di debito accadono ogni giorno? Noi dello “Sportello dei Diritti” sono anni che conduciamo una battaglia a favore dei tanti utenti frodati e che troppo spesso trovano un muro proprio da Poste Italiane o da altri istituti bancari quando chiedono il rimborso di quanto sottrattogli anche quando hanno segnalato prontamente prelievi abusivi sulle loro carte o conti. Non la pensa così la Cassazione che con l’importante ordinanza 26916/20 del 26 novembre ha sancito il sacrosanto principio secondo cui la denuncia di uso indebito della Postepay impone alla società di provare che l’operazione è del cliente. Ed, inoltre, che l’erogatore dei servizi è obbligato a una diligenza tecnica da valutare con il parametro dell’accorto banchiere. Mentre solo un grave ritardo dell’utente nella denuncia esclude la colpa della società. Nella fattispecie, la sesta sezione civile della Suprema Corte, ha accolto il ricorso del titolare di una Postepay che aveva fatto causa contro Poste Italiane chiedendo che fosse dichiarata la sua responsabilità contrattuale o per esercizio di attività pericolosa, in relazione all’uso indebito da parte di ignoti della carta prepagata Postepay. Il giudice di pace aveva accolto la domanda ritenendo provata la correttezza della condotta della parte della titolare della carta nel custodire i dati di accesso e la speculare violazione dei propri obblighi in capo alla convenuta, palesata dagli accertati ammanchi. Il tribunale ha però ribaltata la decisione osservando che non era stata contestata la documentazione prodotta dalla società in ordine alla conformità del proprio circuito elettronico al regime tecnico temporalmente applicabile, e che dunque era stata presuntivamente provata l’idoneità del relativo sistema di sicurezza, tanto che la cliente avrebbe dovuto dimostrare positivamente la propria diligente condotta di custodia dei codici per l’utilizzo della carta. L’utente non si è dato per vinto ed ha proposto ricorso innanzi alla Cassazione con il quale ha chiesto la censura della sentenza del tribunale nella parte in cui avrebbe erroneamente addossato al privato l’onere di dimostrare la correttezza della propria condotta di utilizzo della carta e relativi codici, invece di constatare la mancata prova, da parte della società, quale contrattualmente obbligata ovvero esercente l’attività di raccolta di liquidità da ritenere pericolosa in quanto innervata dal rischio d’impresa, della concerta riconducibilità allo stesso utente delle operazioni in questione. I giudici del Palazzaccio, nell’accogliere la domanda, hanno evidenziato che in tema di responsabilità della banca, ovvero dell’erogatore del corrispondente servizio, in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema, è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento – prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente – la possibilità di un’utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte di terzi, non attribuibile a dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. La conseguenza di tali deduzioni, per gli ermellini è che «l’erogatore di servizi, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere, è tenuto a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente». La responsabilità viene meno solo nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento, posto che la sollecita consultazione degli estratti gli avrebbe consentito di conoscere quell’uso in tempo più utile. Insomma, una decisione di grande rilevanza, rileva , Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che traccia un solco importante in una materia nella quale sono ancora purtroppo negativamente coinvolti una miriade di utenti bancari che troppo spesso, sinora sono rimasti scoraggiati dal tentare il recupero di quanto a loro indebitamente sottratto e che, al contrario, con l’applicazione dei principi segnati da questo significativo precedente, potranno agire più serenamente per sperare nel recupero del maltolto se Poste Italiane o qualsiasi altro istituto bancario dovessero continuare ad opporre ingiustificate resistenze nel restituire quanto abusivamente sottratto ai propri clienti.
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