La musica preferita agisce come l’LSD.
6 Febbraio 2017 da dagata
La musica preferita agisce come l’LSD. Secondo uno studio dell’Università di Zurigo entrano in azione nel cervello gli stessi recettori cui si legano le sostanze allucinogene
I ricercatori dell’università di Zurigo, coordinati da Katrin Preller, hanno scoperto che se attribuiamo un significato particolare a una canzone o a un odore, questo accade perché entrano in azione nel cervello gli stessi recettori cui si legano le sostanze allucinogene, come l’LSD. Il risultato dello studio è stato pubblicato sulla rivista Current Biology. La scoperta è stata possibile grazie a un esperimento, condotto su un gruppo di volontari, che ha indagato come l’LSD influenza il modo in cui si percepisce l’ambiente e si attribuisce un significato alle cose. Nell’esperimento, ad alcuni volontari è stato dato l’LSD, seguita da un farmaco chiamato ketanserina che ha bloccato la capacità dell’LSD di agire sui recettori dell’ormone del buon umore, cioè la serotonina; ad altri è stato dato invece un placebo. Dopo l’assunzione di queste sostanze è stato chiesto ai partecipanti di ascoltare alcune canzoni ed è stato scoperto che i brani musicali che in precedenza, per i partecipanti, erano privi di significato, ne hanno assunto uno particolare sotto l’effetto dell’LSD. Tale effetto però è diminuito quando i partecipanti hanno assunto il secondo farmaco. Questo, inoltre, ha anche cancellato gli effetti psichedelici noti dell’LSD su stato di coscienza, umore, e ansia. «Ora – ha osservato Preller – sappiamo quali regioni del cervello e quali recettori sono coinvolti quando percepiamo il nostro ambiente come significativo».I ricercatori hanno così scoperto che il significato speciale che si attribuisce alle cose è legato agli stessi recettori che si legano all’LSD e, grazie alle immagini ottenute con la risonanza magnetica, è stato visto che il meccanismo coinvolge le strutture della linea mediana del cervello, che sono le stesse coinvolte nell’esperienza legata al significato che si dà a se stessi. La scoperta, spiega Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, potrebbe aiutare a mettere a punto nuove cure per il trattamento di malattie psichiatriche o fobie, che causano anomalie nel significato che si dà alle cose.
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