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Carestia flagella il Corno d’Africa. A rischio 17 milioni persone ormai allo stremo

26 Febbraio 2017 da dagata

Carestia flagella il Corno d’Africa. A rischio 17 milioni persone ormai allo stremo in Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti ed Eritrea, Sud Sudan, Uganda e Tanzania quelli a rischio. Mentre i Paesi donatori latitano.

Sale il numero delle persone colpite dalla carestia nell’Africa orientale. Nel Corno d’Africa 17 milioni di persone rischiano di morire di fame e di stenti. Gli allarmi si sono moltiplicati oggi, dopo la dichiarazione ufficiale dello stato di carestia, la prima nel mondo da sei anni a questa parte, in due regioni del Sud Sudan, dove gli abitanti censiti sono più di centomila. Solo in questo Paese, ha denunciato il responsabile locale dell’Unicef, sono a rischio circa 5 milioni e mezzo di persone, in pratica il 50% della popolazione. Ma la carestia, innescata dalle guerre e da una persistente siccità, sta flagellando l’intero Corno d’Africa e raggiunge più di 17 milioni di uomini, donne e bambini tra Gibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan e i limitrofi Uganda e Kenya, dove i campi profughi sono diventati enormi agglomerati di tende e baracche nei quali proliferano malattie e violenza. L’appello congiunto del Pam (Programma alimentare mondiale) e dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) riguarda proprio queste popolazioni, costrette a fuggire da condizioni di vita insostenibili e che ora sempre più, “a fronte di altre grandi crisi umanitarie globali, rischiano di essere abbandonate, lasciate indietro e dimenticate”. Gli aiuti, attualmente, sono largamente insufficienti a far fronte al fiume umano che scappa dalla carestia. La ong italiana Intersos fornisce dati ancora più inquietanti. Ricorda “il fallimento del 2011, quando solo in Somalia morirono 260 mila persone (tra cui 133 mila bambini) perché il mondo non riuscì ad intervenire tempestivamente sulla carestia che aveva colpito il Corno d’Africa”, sottolinea che “se la siccità è determinata anche da condizioni naturali, la carestia e la conseguente catastrofica perdita di vite umane dipende interamente dal mancato intervento o dai danni prodotti dall’uomo che, per i Paesi di cui stiamo parlando, significa conflitti permanenti, collasso delle strutture statali e aiuti insufficienti”.Sono mesi che tra Somalia e Sud Sudan non cade una goccia d’acqua, mentre combattimenti e attentati non danno tregua e rendono estremamente complicato l’accesso delle organizzazioni umanitarie alle popolazioni che “si trovano in una condizione di urgente stato di bisogno”. È quasi impossibile, sottolinea Intersos, portare avanti “i progetti di assistenza medica e sanitaria, i programmi nutrizionali, la protezione delle donne e dei bambini a rischio di abusi e violenze”.Le cifre di una tragedia annunciata si rincorrono al rialzo. Restando nella sola Somalia, “da qui a giugno oltre tre milioni di persone saranno colpite dalla siccità”. E se la risposta umanitaria nelle due più devastate regioni del Sud Sudan non sarà efficace e tempestiva, “probabilmente ci troveremo di fronte alla più grave carestia del nuovo millennio”. Un bambino su quattro è ormai affetto da malnutrizione acuta nelle regioni meridionali della Somalia, le più colpite. In alcune zone, la malnutrizione colpisce il 30 per cento della popolazione. Questo è uno dei più alti tassi di malnutrizione nel mondo, e il doppio della soglia di emergenza. Ci sono ora 241.000 bambini gravemente malnutriti in tutta la Somalia, di cui 57.000 sono gravemente malnutriti Occorre, secondo le stime, commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” un miliardo di dollari per evitare una catastrofe umanitaria nel Corno d’Africa, ma finora sono stati stanziati solo 200 milioni. È inaccettabile che diversi Paesi ricchi non siano in grado di dare un contributo più generoso. Non c’è tempo da perdere se vogliamo salvare la vita di tantissime persone. Donatori come l’Italia e la Danimarca non hanno ancora stanziato nuovi fondi. Quanto all’Italia, fa ancora la parte dell’ultima della classe.

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