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Discorso choc dell’A.D. di Enel: “Bisogna ispirare paura nei dipendenti”.

3 Giugno 2016 da dagata

Discorso choc dell’A.D. di Enel: “Bisogna ispirare paura nei dipendenti”. Nel corso di una lezione alla Luiss, Francesco Starace ha illustrato come si guida un’azienda Lo Sportello dei diritti invoca le dimissioni

“Bisogna distruggere fisicamente i centri di potere che si vuole cambiare”. “Creare malessere all’interno di questi”, e poi “Colpire le persone opposte al cambiamento, nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura”. Sono solo alcune delle affermazioni fatte da Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, agli studenti dell’Università LUISS durante una lezione a Roma di alcuni giorni fa. Questa è in sintesi la sua ricetta, per garantire il cambiamento all’interno di un’azienda, in risposta ad una domanda circostanziata fatta da uno studente: “Ispirando paura”, e inducendo il malessere, dando potere a un manipolo di persone fedeli alla visione del capo e poi punendo in maniera esemplare chi si oppone. È una spiegazione che fa paura anche per il contesto in cui è stata fatta, commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, lì dove avviene la formazione della nuova classe dirigente che andrà a sedersi nei consigli d’amministrazione di domani. Di seguito riportiamo l’intervento dell’A.D. Starace: “Per cambiare un’organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno dell’organizzazione dei gangli che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce perchè alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un’altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile”. Le grandi trasformazioni socio-culturali degli ultimi secoli, che da una società agricola hanno condotto alla società industriale e post industriale, hanno prodotto diversi e vari cambiamenti nella politica, nell’economia, nella giustizia, nella sanità. Cambiamenti che a loro volta hanno portato alla modifica dello stile di vita, delle regole, dei ruoli, dei compiti e responsabilità svolti dall’uomo e dalla donna nella famiglia, nella scuola, sul lavoro, nell’intera struttura della società; in sintesi a comportamenti diversi che non hanno ancora oggi trovato una equilibrata composizione all’interno dei singoli individui e delle comunità. Inoltre la rapidità con cui si sono succeduti i progressi scientifico-tecnologici negli ultimi 50 anni non ha permesso un altrettanta rapida crescita consapevole delle persone ed un veloce adeguamento interiore al cambiamento esterno. Non sempre quindi il progresso ha promosso benessere e salute, ma anche squilibrio, malessere, involuzione; non sempre ha rispettato valori etici e culturali, ma spesso distorcendo in peggio l’innovazione ha prodotto degrado ambientale, politico, culturale ed etico. Ci troviamo allora, in un momento storico in cui la stessa vita umana ha poco valore, dove prevaricazione, sopruso, aggressività e violenza non solo fanno da padroni, ma vengono anche premiati dai Media e non solo. Come diceva E. Fromm in “Anatomia della distruttività umana“ le pulsioni a controllare, sottomettere, torturare , il sadismo, la necrofilia, le guerre, le molteplici sembianze in cui si manifestano le tendenze distruttive dell’uomo sono legate e condizionate da fattori storico – culturali. Per Giovanni D’Agata, quelle di Starace, infatti, sono idee abbastanza diffuse fra i manager e si può tranquillamente definire “mobbing”. Il termine Mobbing deriva da quello inglese “to mob”, che vuol dire aggredire, accerchiare, assalire in massa, malmenare; ed è stato usato da K. Lorenz proprio per descrivere il comportamento di alcuni animali che si coalizzano contro un membro del gruppo, lo attaccano, lo isolano, lo escludono dal gruppo, lo malmenano fino a portarlo anche alla morte. In pratica è la condizione in cui vengono a trovarsi gli esseri umani sofferenti per Mobbing o come Leymann ed Hege riportano per “terrore o violenza psicologica sul luogo di lavoro”. Ossia una modalità di comportamento volta al malessere della vittima designata, finalizzata a destabilizzarla, a farle perdere l’autocontrollo, ed il benessere psicofisico, con conseguente allontanamento / dequalificazione dal/nel posto di lavoro. Pertanto quello che ha dichiarato Starace è chiarissimo. In altri Paesi per molto meno l’amministratore di un gruppo pubblico sarebbe stato immediatamente sospeso dal suo incarico.

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