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Pensione ai superstiti: FAP ACLI in aiuto dei giovani pensionati

7 Marzo 2015 da Artsia

La proposta di legge della Federazione Anziani Pensionati per integrare le pensioni di invalidi, inabili e  superstiti alla perdita di un coniuge o del genitore

La riforma delle pensioni del 1995 (legge 8.8.1995 n. 335), introducendo un sistema di calcolo delle pensioni esclusivamente contributivo per chi ha iniziato a lavorare successivamente al 1 Gennaio 1996, ha di fatto abrogato il diritto all’integrazione al trattamento minimo, strumento attraverso il quale veniva garantito un importo minimo della pensione ai lavoratori, in possesso di requisiti e di condizioni reddituali di diritto.

Si viene così a delineare uno scenario nel quale alcune categorie non sono tutelate, in contrasto con l’ art. 38 della Costituzione per il quale “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
Un analogo concetto di tutela dovrebbe inoltre essere esteso anche alle “pensioni ai superstiti”. Ma cosa si intende per pensione ai superstiti?

Per pensione ai superstiti si indica una prestazione economica erogata sulla base dei concetti fondamentali della funzione previdenziale. In particolare è la pensione che, alla morte del lavoratore assicurato o pensionato, spetta ai componenti del suo nucleo familiare .
Tale pensione può essere distinta in pensione di reversibilità o pensione indiretta.

La pensione di reversibilità viene erogata nella situazione in cui il pagamento del trattamento pensionistico era già in favore del defunto, titolare di una pensione diretta.
La pensione indiretta viene invece erogata nella situazione in cui il lavoratore defunto non era ancora titolare di pensione. La condizione sine qua non è che il lavoratore assicurato abbia maturato 15 anni di contribuzione utile o 5 anni di contribuzione in tutta la vita, di cui almeno 3 negli ultimi 5 anni precedenti il decesso.
Ma se una pensione indiretta o di reversibilità viene liquidata sulla base del sistema contributivo, essa non beneficia di alcuna integrazione al minimo livello percepibile, a prescindere dal possesso o meno di redditi del titolare della pensione a  differenza di come avveniva per il sistema retributivo, ma viene semplicemente liquidata sulla base dei contributi, quali che essi siano.

In questo modo il sistema previdenziale non risponde alle esigenze solidaristiche in situazioni emergenti di perdita o di cessazione del reddito da lavoro, andando invece ad incidere sull’aumento dei “nuovi poveri”.

Coloro che sono impossibilitati a svolgere l’attività lavorativa o si trovano in situazione di indigenza (invalidi, inabili, superstiti) e ai quali non si applicano i dispositivi di integrazione dei minimi sono circa 51mila in Italia. In media un pensionato con queste caratteristiche percepisce 173 € mensili, ben al di sotto della soglia di povertà.

La FAP il sindacato pensionati promosso dalle ACLI ha pertanto delineato una proposta di legge che prevede che ci sia un de minimis universalmente riconosciuto, erogato in misura tale da consentire che l’ammontare dei trattamenti non sia inferiore all’importo annuo di €7.000.

Per ottenere questo minimo vitale la Fap propone che il titolare abbia un reddito inferiore ai €7.000 che si alza a €14.000 in caso di coniuge, escludendo dalla valutazione dei redditi la casa di abitazione e l’eventuale indennità di accompagnamento. Qualora nel nucleo siano presenti figli minori o inabili il minimo vitale spetta comunque.

Alla proposta di legge, la FAP ACLI ha affiancato il lancio della campagna “E Se piove?” veicolata sui social per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa situazione di disagio e di ingiustizia sociale.

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