Ambiente e CO2: allarmante rapporto di Chatham House sulle emissioni di anidride carbonica
6 Gennaio 2015 da dagata
Ambiente e CO2: allarmante rapporto di Chatham House sulle emissioni di anidride carbonica. L’industria del bestiame emette maggiori emissioni dannose di quella dei trasporti
L’associazione non governativa britannica Chatham House lancia l’allarme. Per arginare il fenomeno del riscaldamento terrestre non basta frenare le emissioni di CO2 dovute ai trasporti. E’ invece imperativo migliorare l’alimentazione, evitando di ingurgitare quantità di carne industriali come avviene nella società attuale. Secondo tale rapporto, l’industria della carne e dei latticini sarebbe responsabile, da sola, della maggior parte delle emissioni nocive nell’aria. L’industria del bestiame, in pratica, supera le emissioni di CO2 rilasciate dal settore dei trasporti.
I numeri parlano chiaro. Se il settore dei trasporti ‘vanta’ un’emissione totale di gas dannosi pari al 13% del totale, quelle emesse dal bestiame raggiungono il 14,5% del totale. Un dislivello che potrebbe aumentare, visto che dall’altra parte sale la domanda di carne. Insomma, i governi non farebbero nulla per limitare la produzione di carne. E i consumatori ne vogliono sempre di più.
Un consumo, quello relativo alla carne, che aumenterà, secondo stime, del 75% entro il 2050. Mentre è destinata a salire del 65% la domanda relativa i prodotti caseari. La domanda di cereali aumenterà invece del 40%.
I mercati che suscitano maggiore preoccupazione sono quelli dei Paesi emergenti. Si stima infatti che entro il 2020 il consumo di carne e latticini nella sola Cina salirà a 20 tonnellate annue.
Per Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti” il fenomeno, in realtà, sarebbe facilmente arginabile. Abbiamo infatti una percezione sbagliata per quanto riguarda la nostra alimentazione. Troppo spesso si tende a pensare che un pasto completo debba per forza di cose comprendere la carne. Quando dovrebbe essere risaputo che proprio i modelli dietetici più salubri ne limitano il consumo a due o tre volte la settimana. Ci vuole, insomma, una maggiore consapevolezza da parte del consumatore che troppo spesso si lascia abbindolare dalla grande industria alimentare.
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