Virus Ebola sale l’allerta. Timori anche a Washington che il virus possa diffondersi negli Stati Uniti
1 Settembre 2014 da dagata
Virus Ebola sale l’allerta. Timori anche a Washington che il virus possa diffondersi negli Stati Uniti. Obama “costantemente informato” sull’espansione dell’epidemia in Africa
L’epidemia di Ebola in corso in Africa comincia a preoccupare anche chi si trova dall’altra parte del mondo, tanto che i Centers for Diseases Control (Cdc) hanno deciso di alzare il livello di allerta, preparandosi all’eventualità, tutt’ora considerata remota, di un arrivo del virus su suolo statunitense. Il presidente americano Barack Obama si tiene “costantemente informato” sull’espansione dell’epidemia in Africa. A non far dormire sonni tranquilli sono le notizie provenienti dall’Africa, dove l’epidemia non sembra dare segni di rallentamento.
Era il 1976, quando si cominciò a sentir parlare di Ebola. Un virus fino ad allora poco conosciuto, che colpiva i villaggi africani dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) con una violenza inaudita: il tasso di mortalità superiore al 90 per cento e un’incubazione talmente breve da rendere difficile l’intervento tempestivo in quei centri sperduti nel cuore dell’Africa. Più di tutto, quello che colpì l’immaginario collettivo furono gli effetti sul corpo: bubboni, febbre, emorragie interne ed esterne. Il virus scomparve per poi riapparire nel 1995: i morti furono 298. Ora il virus che sta mettendo in ginocchio alcuni Paesi africani è tornato a colpire. Ha un tasso di mortalità del 90 per cento e non esistono cure efficaci. Nella sua storia ha ucciso poco più di 2mila persone. Il primo caso venne scoperto in Congo nel 1976.
Oggi, che è tornato a colpire in Liberia, Sierra Leone e Guinea (e purtroppo ha sconfinato anche in Nigeria, dove il Governo ha ordinato che tutti i valichi di frontiera siano messi in allerta), le vittime sono già 670 e gli infettati oltre 1200: la più grande epidemia di Ebola mai conosciuta. La Liberia, uno dei paesi più colpiti, dopo la chiusura quasi totale delle frontiere ha addirittura vietato le partite di calcio, possibile fonte di contagio. Sono 1201 i casi di Ebola confermati fono a questo momento in Africa, con 672 morti, secondo il conteggio dell’ultimo bollettino dell’Oms, pubblicato il 27 luglio.
Ma che cos’è Ebola? Perché è così terribile? E soprattutto, perché se ne parla più che della malaria, che è molto più letale e ogni anno uccide almeno 670mila persone (dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità)?
Andiamo con ordine. Nel 1995 nell’ospedale di Yambuku (ex Zaire), gestito da alcune suore, scoppiò un’epidemia violentissima dall’origine sconosciuta. All’inizio nessuno capiva di cosa si trattasse: i pazienti arrivavano con febbri altissime, poi sopravvenivano lacerazioni del tessuto cutaneo, danni agli organi (fegato, milza e reni soprattutto) come risultato di una necrosi, vomito ed emorragie e infine la morte. Molti medici però scambiarono all’inizio Ebola per malaria, e la curarono (senza successo) con il chinino. Bastarono pochi giorni per capire che invece il virus – comparso per la prima volta in quelle zone nel 1976 – era tornato. Non lo si credeva possibile – era rimasto nascosto per tanto tempo da pensarlo debellato. E invece no. I giornali e le tv cominciarono a parlarne e a diffondere le immagini dei pazienti colpiti. La variante del virus venne chiamata Ebola Zaire (ZEBOV) per distinguerla da quella che aveva causato pochi mesi prima un’epidemia in Sudan.
ZEBOV è attualmente la variante più pericolosa di Ebola, e purtroppo secondo l’OMS, l’epidemia attualmente in corso in Africa occidentale è causata proprio da ZEBOV. Il virus fa parte dei filoviridae, una famiglia di virus vecchia di milioni di anni: il virus uccide piuttosto in fretta, rendendo difficile che una persona contagiata riesca a contagiarne molte altre. Tuttavia le prime grandi epidemie cominciarono in villaggi africani dove c’era l’usanza di baciare i corpi dei morti. Un solo morto di Ebola poteva quindi infettare un intero villaggio, complice la totale mancanza di norme igieniche, di prevenzione e le difficoltà dei fragili Governi di quei Paesi di fare una corretta informazione sul fenomeno.
Armand Sprecher, medico di Medici senza Frontiere di stanza in Congo, specializzato in febbri emorragiche come l’Ebola e il Marburg, ha spiegato in un’intervista: «Probabilmente all’origine il virus era nei pipistrelli, da lì si è spostato nelle grandi scimmie e poi negli uomini. Si trasmette tra gli uomini attraverso il contatto coi fluidi corporei (sangue, vomito, diarrea…), che, punto importante, può avvenire durante la cura dei malati. Questo significa che durante un’epidemia di Ebola il virus tende a diffondersi anche al personale sanitario e ai familiari dei pazienti». Dal punto di vista medico, il dramma è che non esistono vaccini o terapie efficaci per curarla. L’alta mortalità e la scarsità di cure adeguate, classificano Ebola come un agente bioterroristico: come arma terroristica, è stato utilizzato dai membri della setta giapponese Aum Shinrikyo, il cui leader, Shoko Asahara, inviò circa 40 membri in Zaire nel 1992 i per fingersi di supporto medico alle vittime nel tentativo di acquisire un campione virale. Anche per questo a Ebola sono stati dedicati diversi libri e anche dei film (ben quattro, di cui due prodotti da Hollywood). Mentre nella realtà il virus rimane un’entità sconosciuta, un mistero che nessuno scienziato è riuscito ancora a circoscrivere. E che per questo suscita al contempo curiosità e paura.
L’ECDC evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” ha comunicato di continuare a monitorare attentamente la situazione dello scoppio di epidemia di Ebola nella regione dell’Africa occidentale. La probabilità che la malattia si propaghi al di fuori dell’Africa occidentale è molto bassa. Anche se a far crescere la preoccupazione è stata anche la vicenda di Kent Brantly, giovane medico statunitense che ha contratto il virus in Liberia. Secondo gli ultimi aggiornamenti il dottore missionario sta peggiorando e la sua prognosi è grave. A renderlo noto il suo amico e collega David Mcray, del Jps Health Network di Fort Worth.
Il medico colpito dalla febbre emorragica soffre di febbri alte, mal di testa, dolori addominali ed è in isolamento vicino a Monrovia, a 12 miglia dall’ospedale dove lui stesso ha trattato i pazienti colpiti già dall’ottobre 2013. Mcray, che è in contatto sia via e-mail che per telefono con il collega malato, ha riferito ai media Usa che lo stesso Brantly sia è detto “terrorizzato” dalla progressione della malattia.
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