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Tutela minori. 14enne Svizzero condannato alla barca a vela

28 Settembre 2014 da dagata

Tutela minori. 14enne Svizzero condannato alla barca a vela. Misure alternative agli istituti per minorenni ma la “pena” non appare appropriata specie per gli enormi costi

 

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Cosa non si dovrebbe fare per l’educazione dei giovani e per il loro recupero nella società? In Svizzera si è ben pensato che con un giro di 40 settimane in barca a vela si possa rimettere in carreggiata un discolo che non vuole proprio mettere in riga.

E’ questa la “punizione” che è stata inflitta dall’autorità tutoria di Linth ad un 14enne di Schmerikon (SG) di nome Marco.

La notizia ha suscitato clamore al di là delle Alpi dopo che è stata pubblicata dal quotidiano di Rapperswil “Obersee Nachrichten”.

Marco ha manifestato problemi comportamentali sin dalla sua più tenera età. Finché il giudice tutelare non ha deciso di toglierlo alla madre ed obbligarlo al giro in barca a vela.

Un giro organizzato da una fondazione svizzera che si occupa di aiutare giovani problematici tra i 14 ed i 18 anni a reintegrarsi nella società.

Sempre secondo la “Obersee Nachrichten”, il 14enne deve rimanere sul veliero almeno 40 settimane. I pedagoghi a bordo decidono ogni sette giorni se ha “superato” la settimana: se la risposta è no il periodo sulla barca viene prolungato.

Da maggio Marco è sul veliero nell’Atlantico, fra l’altro vicino a Capo Verde, ma finora non ha ancora “superato” alcuna settimana. Il periodo di terapia potrebbe quindi durare ancora a lungo. I costi fatturati sono di 156’000 franchi all’anno poco meno di 130.000 euro, oltre le spese. Costi che quasi certamente graveranno sui contribuenti, perché la madre è in parte a beneficio dell’assistenzasc sociale elvetica.

Sulla barca trovano posto 16 giovani, ognuno dei quali costa 430 franchi al giorno.

Secondo la fondazione, i giovani trovano nella barca a vela “una nuova casa” che dà loro la possibilità di “ripartire nella vita con nuovo slancio”.

Un fine nobile. Ma, dati gli elevati costi, c’è comunque chi storce il naso.

Tra questi la stessa madre di Marco, che non comprende ancora la decisione delle autorità. Ed ha dichiarato: “sarebbe stato meglio se avessero mandato mio figlio a scuola. Sarebbe rimasto più vicino a me e avrebbe potuto ottenere un diploma. E lo Stato avrebbe risparmiato.”

Non siamo in grado di stabilire se si tratti della scelta più appropriata per la rieducazione di un minore, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”. Fatto sta che siamo certi che esistano misure altrettanto idonee e meno costose per i contribuenti che comunque possono rilanciare la vita di ragazzi disagiati come l’attivazione di percorsi di recupero all’interno delle famiglie stesse con l’ausilio di psicologi e degli stessi servizi sociali oppure in adeguati ambienti protetti come le “case famiglia”.

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