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Condanna penale per chi utilizza un nickname fasullo per molestare in chat il vicino di casa

6 Marzo 2014 da dagata

Condanna penale per chi utilizza un nickname fasullo per molestare in chat il vicino di casa. Ricorre il reato di sostituzione di persona di cui all’articolo 494 del codice penale

 

Può essere condannato penalmente ai sensi dell’articolo 494 del codice penale colui che utilizza l’utenza telefonica con uno pseudonimo collegato a un nome di fantasia per molestare un’altra persona.

Per la Cassazione penale, infatti, integra il reato di sostituzione di persona la condotta di chi utilizzando un nickname che rimanda al nominativo di una persona inesistente, occulta la sua identità per molestare, tramite messaggi in chat, alcuni destinatari inseriti nella sua “black list”.

A stabilirlo la sentenza n. 9391 pubblicata ieri 26 febbraio che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” porta all’attenzione del pubblico per invitare a fare attenzione ed evitare che un comportamento ricorrente da quando si sono diffuse chat, messaggerie istantanee e social network sia ripetuto per le conseguenze spesso sottovalutate che possono macchiare la propria fedina penale.

I giudici della quinta sezione penale della Suprema Corte, hanno infatti, rigettato il ricorso di un’imputata già condannata dalla Corte d’appello di Palermo per il reato di cui all’articolo 494 del codice penale per avere, al fine di commettere reato di molestia e disturbo alle persone, indotto in errore una persona, utilizzando un nickname di fantasia.

Il giudice dell’appello aveva evidenziato come lo pseudonimo virtuale fosse intestato a una società di intrattenimento telefonico presso cui aveva lavorato l’imputata nel periodo contestato e rinviava a generalità fittizie.

Era stato provato oltre ogni ragionevole dubbio, peraltro, che l’autrice dei messaggi e degli annunci molesti fosse stata la condannata, non avendo alcun rilievo l’assenza di qualsiasi motivo di risentimento nei confronti della famiglia molestata dedotta dalla difesa, come dimostrato dal memoriale in atti a firma della ricorrente «da cui si rileva come fosse legata da rapporti tutt’altro che amichevoli con la famiglia da molestare, vicini di casa destinatari e vittime della condotta criminosa, inseriti al primo posto in un elenco di nemici».

I giudici di legittimità ritengono, quindi valide le conclusioni del giudice del merito. Il primo motivo è inammissibile perché deduce questioni di merito circa la valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte di merito, «che ha valorizzato, per un verso, le risultanze che hanno condotto a identificare nella ricorrente, che era solita utilizzare le generalità fittizie e il nickname, l’autrice degli annunci molesti e, per altro verso, l’atteggiamento non amichevole nei confronti dei vicini di casa desumibile dal loro inserimento al primo posto nella “black list” nel memoriale a firma dell’imputata. La valutazione della Corte di merito è, dunque, coerente «rispetto ai dati probatori richiamati e sulla base di una linea argomentativa immune da cadute di consequenzialità logica, in quanto espressione di un apprezzamento dei vari indizi analitico e correttamente collocato nel quadro di una loro valutazione globale».

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