Scandalo sperimentazione farmaci in Germania : anche gli italiani tuttora si offrono volontari a test clinici in Svizzera
14 Giugno 2013 da dagata
Mentre in Germania monta lo scandalo sulla sperimentazione dei farmaci su bisognosi o ignari cittadini nell’ex Germania dell’Est da parte delle multinazionali occidentali si scopre che anche gli italiani tuttora si offrono volontari a test clinici in Svizzera per poche centinaia di euro Uno scandalo di proporzioni bibliche è stato innescato da un articolo inchiesta del quotidiano “Der Spiegel”, che citando fonti del Ministero della Salute, della Medical Products Agency Stasi e dell’Istituto Mar ha scoperto che alcune multinazionali Farmaceutiche Occidentali, nel corso degli anni ‘80 avrebbero effettuato in più di 50 cliniche in tutta la ex Germania dell’Est oltre 600 sperimentazioni di farmaci su circa 50.000 cittadini della DDR usati come cavie. Tra questi, malati, neonati prematuri e alcolisti. In tutto cinquanta aziende farmaceutiche avrebbero dato in appalto, tra il 1983 e il 1989, almeno 165 studi, pagando fino a 440mila euro facendo così divenire la Ddr una sorta di vero e proprio laboratorio per le imprese farmaceutiche occidentali. Tra queste la Bayer e Schering (oggi fuse in un’unica azienda), Hoechst (oggi Sanofi), Boehringer Ingelheim e Goedecke (Pfizer), Sandoz (Novartis). Sarebbe stato dimostrato, peraltro, che diversi test avrebbero portato alla morte o al peggioramento di alcuni pazienti. Quest’inchiesta non è la prima che svela come alcune aziende che nel passato hanno dimostrato di avere pochi scrupoli avrebbero approfittato dei bisogni o dell’ignoranza dei cittadini per provare sulla pelle di questi gli effetti di farmaci in sperimentazione. Un fatto che già con estrema preoccupazione per non dire rabbia, pensavamo fosse isolato ai paesi in via di sviluppo, con la complicità delle amministrazioni e delle autorità locali, ma che secondo altre indagini giornalistiche avrebbe base anche nel cuore d’Europa dove giovani e meno giovani spinti dalla crisi, tutt’oggi si farebbero cavie per poche centinaia di euro. Arrotondare o campare sottoponendosi volontariamente alla somministrazione di farmaci da testare sarebbe diventato un espediente lavorativo che pare richiami molti italiani, soprattutto studenti universitari, verso le cliniche della Confederazione Elvetica, a un passo dal confine italiano. La cifra sarebbe pattuita nell’importo di 1200 euro offerti in cambio di 6 giorni di ricovero e attirerebbe ogni anno circa 750 italiani provenienti soprattutto dal Nord della Lombardia. Il mercato delle cosiddette cavie umane denuncia un incremento degli italiani che volontariamente si offrono, a fronte di una bassissima percentuale di svizzeri che rifuggono da questa pratica pur avendola a portata di mano. Il mercato è aperto, tanto che sulla rete è possibile leggere anche qualche annuncio di reclutamento pubblicato da una società farmaceutica italiana con sede in Svizzera. Tuttavia, è soprattutto dal passaparola che si arriva al contatto, alla presentazione e infine alla convocazione presso l’Ipas, Institute for pharmacokinetic and analytical studies di Mendrisio, divenendo delle cavie umane. Vietati in Italia, o almeno ostacolati dall’iter burocratico, i test clinici su soggetti sani sono legalmente regolamentati nella Confederazione Elvetica da almeno un decennio; la stampa italiana (da Repubblica a Panorama) ha riportato testimonianze del fenomeno che attira persone principalmente dalla Lombardia. A fronte della retribuzione già citata, non è dato sapere quali rischi si corrano, proprio perché il campo degli effetti è quello oggetto d’indagine. Risale al 2000 la creazione in Svizzera di un registro dei volontari per i test di medicamenti. Uno strumento invocato nel paese dopo che nella primavera del 1999 era scoppiato lo scandalo VTX 981030, nome in codice della sperimentazione di un nuovo epatoprotettore affidato alla società farmaceutica Van Tx, registrata a Fiburgo, sul cui operato la procura di Basilea aprì un’inchiesta per le tante inadempienze: selezioni di soggetti stranieri reclutati peraltro con modalità non sempre documentate, compensi non specificati, consenso dei soggetti incompleto. E si noti che, oltre alle grandi multinazionali, la Van Tx annoverava tra i clienti società farmaceutiche di ben dieci paesi stranieri. A quali danni per la propria salute incorrono i volontari sani, non si sa ancora con precisione. Se chi si offre, lo fa volontariamente (talvolta senza essere in bolletta) e dopo essere stato almeno in parte informato, verrebbe da dire, perché preoccuparsi dei rischi cui va incontro? Ci sovviene il tema della tutela dei soggetti più deboli, proprio perché tali, perché si trovano nella condizione di bisogno, per malattia, ignoranza o povertà. Per Giovanni D’Agata, presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti” troppo spesso e con estrema ingenuità nella nostra qualità di consumatori (occasionali o abituali) di farmaci di cui magari contestiamo la sperimentazione farmaceutica sugli animali, non verifichiamo in che misura la stessa passa sull’essere umano, in quali stadi e con quale trasparenza. È ovvio che spetta alle autorità europee e nazionali verificare se le procedure attuate in Svizzera rispettino degli standard minimi di sicurezza per chi si sottopone ai test e d’impedire in caso negativo che si consenta la possibilità di proseguire con sperimentazioni pericolose per la salute. È, altrettanto, chiaro che ciascun cittadino dovrebbe comprendere che dietro a facili ed esigui guadagni si possono sempre nascondere trappole per la propria salute. E per tali ragioni noi dello “Sportello dei Diritti” sconsigliamo vivamente questi test ai comuni cittadini.
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