» Blog article: Che fine farà il relitto della Costa Concordia? | Comunicati stampa
Scelte politiche e di risarcimento (per Piombino) o valutazioni economiche e di tempo (Civitavecchia). Anche i porti Liguri e Palermo pensano però alla Concordia
Sulle banchine del porto ci si sente soli. Le enormi vasche costruite anni fa nella speranza di una ripresa del polo siderurgico sono opere incompiute che nessuno spera più di vedere finite. L'orizzonte è sgombro, neppure una nave in rada. «Quella barca rotta è la nostra unica salvezza» dice un vecchio operaio sulla porta del circolo pensionati della Cgil. “Quella barca” si chiama Costa Concordia, è un enorme animale ormai ridotto a carcassa, spiaggiata dal 13 gennaio 2012 sulla costa del Giglio. Il suo smantellamento porterà posti di lavoro e commesse garantiti per un paio di anni almeno, di questi tempi non è poco.
Piombino sembrava la candidata designata a vincere questa riffa basata sullo stato di necessità. La crisi degli stabilimenti siderurgici e del porto, la vicinanza con il Giglio, l'obbligo morale a risarcire la Toscana dei danni economici, vedi alla voce turismo. Ma neppure il decreto che il governo ha promesso di varare nel prossimo Consiglio dei ministri ha tolto questo alone di incertezza che pesa sul destino della Concordia, diventata un monumento all'Italia arenata su un fondale, un simbolo da rimuovere al più presto.
La fretta non si addice alle condizioni del porto di Piombino, anch'esso, a detta di chi ci lavora, avviato a una sorte da reliquia industriale. Lo smantellamento di un colosso del mare è un'operazione inedita in Italia. I 160 milioni che verranno stanziati per Piombino riguardano gli aiuti alle aree di «crisi complessa», come Taranto, ma hanno una destinazione d'uso implicita ed evidente. L'accoglienza della nave più famosa del mondo comporta la costruzione di una diga foranea da 1.150 metri, lo scavo dei fondali per altri 11 metri di profondità, e la costruzione di due bretelle stradali. Tanto, forse troppo per rispettare il calendario che prevede la scomparsa della Concordia dalla vista dei gigliesi e degli italiani entro l'ottobre di quest'anno.
Enrico Rossi, il governatore della Toscana, sa bene che il nullaosta del governo non funziona come antidoto a una incertezza resa ancora più forte dallo smarcamento della Protezione civile, che si è sfilata dalla gestione del dopo Giglio, lasciando filtrare un dissenso neppure troppo dissimulato su destinazione e complicazioni temporali e burocratiche che ne derivano. «La crisi rischia di creare una guerra tra poveri. A me interessa portare via la nave dal Giglio e aiutare Piombino a ritrovare lavoro e competitività. Se facciamo in tempo le due cose possono andare a braccetto. Altrimenti si troverà un'altra soluzione».
Nei giorni scorsi si è mosso con discrezione il nuovo governatore del Lazio, Nicola Zingaretti facendo sapere che, insomma, il porto di Civitavecchia sarebbe pronto alla bisogna e pure a costo zero. E così la Confederazione laziale della piccola e media industria è andata dritta alla giugulare di Piombino. «Lo smantellamento della nave in quel porto è uno sperpero milionario a carico dei contribuenti. Se avvenisse a Civitavecchia, l'operazione sarebbe di gran lunga più veloce ed economica, oltre a costituire una preziosa occasione per il territorio».
Le difficoltà di Piombino, sottolineate da un impietoso dossier di Legambiente, sono una opportunità per la «concorrenza». Anche il governatore della Liguria Claudio Burlando ha fatto sapere che Genova o La Spezia potrebbero rispondere presente nel malaugurato caso Piombino dovesse gettare la spugna, eventualità che non dispiacerebbe troppo neppure a Rosario Crocetta, che coltiva una speranza per Palermo. Appena fuori dal Giglio, c'è la fila. Rossi si difende con le unghie. Toccherà a lui il ruolo di commissario del porto, una patata che più bollente non si può. «Trovo incomprensibile e di cattivo gusto lo scatenamento in atto contro Piombino. I danni maggiori li abbiamo avuti noi, forse la crisi ha annebbiato la memoria a qualcuno». Il governatore deve gestire anche il fuoco amico, si fa per dire. I parlamentari toscani in quota Renzi contestano «gli altissimi costi» e la scelta, «di precisa natura politica», fatta da un governo dimissionario.