No alla vendita dei terreni demaniali. Il governo li dia in concessione a cooperative di lavoratori per far ripartire l’agricoltura e l’allevamento
1 Novembre 2012 da dagata
No alla vendita dei terreni demaniali. Il governo li dia in concessione a cooperative di lavoratori per far ripartire l’agricoltura e l’allevamento per un Paese autosufficiente a livello alimentare e per favorire l’occupazione dei nostri concittadini e l’integrazione degli immigrati
Una delle ricette più comode degli ultimi governi per tentare di ripianare il deficit dello Stato è quella di dismettere i beni demaniali mettendoli all’asta, ossia al miglior offerente.
Chiaramente è una scelta politica che non dimostra un grande respiro o una portata eminentemente strategica, ma è un modo semplice per incassare sperando di ricevere un po’ di liquidità per le casse di un apparato burocratico in affanno per non dire (quasi) in default. E così nell’immenso calderone da dismettere del grande patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri apparati finiscono oltreché edifici, e tra di essi alcuni di gran pregio, anche migliaia e migliaia di ettari di terreni che potrebbero essere destinati alla più banale delle finalità: quella di rilanciare l’agricoltura in un Paese in cui l’autosufficienza alimentare sta diventando un miraggio sempre più lontano.
Ed allora, se un governo vuole dimostrare di non essere in ostaggio delle lobbies e dei grandi speculatori immobiliari che sono i primi e pressoché gli unici soggetti a lanciarsi nell’acquisto del patrimonio demaniale in vendita, avendo le relative disponibilità economiche allora una ricetta di più ampio respiro strategico per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, è quella di lanciare un piano nazionale di rilancio dell’agricoltura a partire dalla concessione, con le dovute regolamentazioni del caso, dei terreni agricoli di proprietà del demanio a cooperative di lavoratori che dimostrino l’intenzione di voler destinare le aree all’uopo concesse alla coltivazione dei prodotti della terra tradizionali o all’allevamento del bestiame.
È da queste scelte che l’Italia può ripartire per rilanciare settori primari messi nel dimenticatoio negli ultimi trent’anni anche per una nuova è più equa ridistribuzione delle ricchezze e del patrimonio immobiliare dello Stato altrimenti destinato a finire nelle mani di pochi, pochissimi speculatori e per rilanciare l’occupazione di centinaia di migliaia di nostri concittadini favorendo anche l’integrazione e l’emersione dal nero degli immigrati irregolari sino ad ora sfruttati da caporali senza scrupoli per coltivazioni intensive stagionali.
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