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Bu-Io Not-Te

13 Settembre 2010 da soqquadro

Sabato 18 settembre  2010 si inaugura alle ore 18.30 presso la galleria Vista Arte e Comunicazione, in Via Ostilia 41 (zona Colosseo) a Roma, la mostra Bu-Io Not-Te, esposizione collettiva degli artisti: auroraliduo in trio (Damiana Emma, Andrea Lo Coco e Nicola Visotto), Giuseppe Di Forti, Aurora Del Rio, Luigi Maria Feriozzi, Christian Fogarolli, Yasmin Hassanin, Moma, Giuseppe Nicosia Di Fazio, Arlette Pasero, Sara Pieri, Giuseppe Sassone, Antonio Tommasini, Ramon Trinca, Ruediger Witcher. L’esposizione è dedicata ai lati oscuri dell’animo umano; le opere in mostra rappresentano, con tematiche e stili diversi, molte delle abiezioni che albergano in tutti noi.

Soqquadro & Vista
Presentano
Bu-Io Not-Te
Mostra collettiva

DURATA: dal 18 settembre al 1 ottobre 2010
INAUGURAZIONE: sabato 18 settembre ore 18.30
ORARI: dal lunedì al venerdì 14.30/19.30 sabato 17.00-19.30
LUOGO: VISTA Arte e Comunicazione, Via Ostilia 41, Roma (zona Colosseo)
CURATRICE: Marina Zatta
COLLABORAZIONI: Gloria Ceschin, Gemma Guirado Robles, Yasmin Mohamed Samir,  Alessandra Parrella, Mara Valente.
INFO: tel. 06.45449756, cell. 333.7330045, 349.6309004
soqquadro@interfree.it    www.soqquadro.eu  

“Vista” è un centro dedicato all’arte ed alla comunicazione che nasce dall’esperienza di alcuni giornalisti da sempre impegnati nell’organizzazione di eventi d’arte e cultura. Una project gallery che si rivolge ai giovani talenti esordienti ma accoglie anche esperienze confermate all’ombra della splendida cornice del Colosseo.
In questo luogo Soqquadro espone la mostra collettiva Bu-Io Not-Te dedicata alle turpitudini dell’animo umano. Cos’è la bontà, cos’è la cattiveria? Chi di noi può dirsi Giusto, chi Generoso, chi Ingiusto, chi Avaro? Siamo crudeli? Non lo siamo mai? Lo siamo a volte? Quali sono le vie che nella nostra anima ci spingono ad agire scorrettamente nei confronti degli altri? Quali sono le giustificazioni che diamo a noi stessi e al mondo? Patria, Famiglia, Dio? Ideologie? In nome di quali altissimi e nobili ideali celiamo le nostre brame di potere, denaro, sesso, protagonismo, fama, egocentrismo? E viceversa, quando lasciamo spazio ai nostri egoismi, è davvero la parte peggiore di noi quella che tiriamo fuori? O è solo la più sincera?
Grandi teologi, filosofi, intellettuali, poeti, letterati ed artisti hanno sondato ed esplorato la parte oscura della nostra anima. Oggi Soqquadro ha chiesto di farlo ai suoi artisti, per dare vita ad una mostra e indaghi con occhio spietato nelle debolezze umane, con la stesso lucido distacco che ha un chirurgo  mentre incide con il bisturi per estirpare un tumore, il tumore della nostra innocenza perduta.
 
Tre fotografi che si riconoscono con il nome d’arte di auroraliduo in trio (Damiana Emma, Andrea Lo Coco e Nicola Visotto) presentano scatti realizzati con uccelli morti. Il progetto nasce dal bisogno di escludere totalmente l’auroralità, ovvero immortalare l’immagine del momento cogliendone la palese bellezza, donando vita a soggetti inanimati in modo differente da come sarebbero in un contesto reale attraverso la cura del dettaglio di una messinscena. E siccome la vita è fugace tanto vale imbastire qualcosa di curioso  con l’unica cosa che rimane dopo la morte: il corpo.

L’opera esposta da Giuseppe Di Forti ci viene così descritta dall’artista: "…piangendo da solo. Al buio. Un buio che contiene le mie emozioni. Emozioni che non posso e non voglio condividere con nessuno. Perché nessuno capirebbe. Perché nessuno sa di che materia è fatto il mio cuore ! " Emozioni occultate. Stati d’animo tenuti dentro, nel buio del nostro cuore. Sentimenti esternati con noi stessi, con lacrime cariche di dolore di cui nessuno mai conoscerà la vera sostanza. Un altruistico modo per non fare soffrire qualcuno che si traduce in egoismo nei confronti del nostro cuore.

Nel lavoro proposto da Aurora Del Rio un corpo scomposto offre le sue parti,ferite,viscere al proprio sé carnefice. Il carnefice e il sé coincidono in quanto nel frammentarsi del corpo le parti rimangono autonome. Si mostra in un attonito stare in apertura-offerta innaturale come una ferita(troppo) aperta. Idea di un necessario stato dell’essere in allerta,in contatto con quel centro-ferita che non possiamo lasciar chiudersi, pena la perdita di ogni meraviglia. Riflessione sul sé come contrapposto-complementare dell’altro in cui si identifica,si sdoppia. L’altro diviene carnefice quando non è possibile esserlo per se stessi

L’opera di Luigi Maria Feriozzi è comparsa quasi dal nulla. Lo stesso artista ci dice: “Mentre preparavo il fondo con dei colori,  ruotando la tela mi è  apparso il volto di Amanda Knox. Ho lavorato su quella tela con il cuore gelato, con l’impressione di essere chiuso tra due pareti di roccia che mi opprimevano.  Ho subito accentuato e definito il volto, ma eliminando anche qualche parte, come gli occhi  con il nero. Ho aggiunto una seconda tela sulla quale ho rappresentato la vita/destino di questa ragazza con cilindretti di cartone colorati, vitali, attivi, spensierati, che però vanno verso lo scuro, il nero di questa anima torbida, infelice.”

Christian Fogarolli presenta un’opera in cui è rappresentato un uomo che urla. L’urlo è da sempre uno dei simboli per eccellenza dell’angoscia di tutti. Urlo come odio di sé e degli altri, come perversione, come spleen che scava nell’intimità dell’essere, nella coscienza sempre più penosa di se stessi. Icona del mal vivere, dei momenti in cui ci sentiamo persi e frammentati dall’ansia e dalla preoccupazione della vita, che a volte è talmente opprimente da divenire angoscia, un buco nero che ci inghiotte e che ci aspira dentro.

Yasmin Hassanin attraverso un ciclo di quattro tele, “Furto del fuoco”, “Castigo divino”,“Creazione di Pandora” e “Vaso di Pandora”,  ha inteso dare vita ad un’unica opera, la cui figurazione  si colloca nella dimensione del fondo extra-umano o pre-umano, che designa il “prima di ogni cosa”, l’origine del processo vitale che perdura alla sua base, identificandosi peraltro come un’ombra in ogni presente. “Chi più di Pandora”, ci dice l’artista, “l’equivalente pagana dell’Eva cristiana, meglio simboleggia – proprio in qualità di personaggio che libera i mali nel mondo le debolezze dell’animo umano?…”

Monica Mastellone, in arte Moma, disegna da sempre, sin da quando ha memoria. Dapprima con un po’ di timore per quella tela bianca che ha davanti ai suoi occhi, come fosse infinita, senza spazio e senza tempo e per quei colori a olio che la affascinano, proprio perché sconosciuti. Ma l’incontro avviene ed è la nascita di un dialogo che dura ancora oggi.

Giuseppe Nicosia Di Fazio nelle sue opere dal sapore iperrealista, riflette sul secolare antagonismo bene – male, a cui la tradizione riduce la caleidoscopica forma dell’IO umano. Dal fondo nero si staccano le figure umane, indagate con attenzione fotografica, e raffigurate così come la vita le ha rese. Conscio del dualismo dell’animo umano, l’artista né mostra in chiaro una parte, quella immediatamente visibile a tutti, lasciando in ombra l’altra, quella che esige la “scelta di voler vedere”. (S.Tofoni).

Nell’opera esposta Arlette Pasero ha voluto dar vita all’attimo preciso della presa di coscienza del tradimento, prima della rabbia, dell’idea di vendetta…solo dolore. Le braccia abbandonate lungo i fianchi non hanno i pugni serrati, ma solo ancora un lembo di colore,( che appartiene a lei), l’unico colore, tra le dita… Dalla finestra aperta immagino entrare il vociare della strada, perché la vita fuori continua, ma là, in quella stanza, è solo  buio e tristezza.

Sara Pieri, che in questa mostra espone un’opera con un volto di donna trasfigurato fino ad essere quasi impalpabile in alcuni punti, definisce la sua poetica come tendente ad indagare l’animo umano e tutto l’universo sensibile che riguarda la carne e l’anima. L’emozione è ciò che quest’artista cerca e che desidera comunicare.

Nel dittico presentato da Giuseppe Sassone sono rappresentate vite e anime violate, vite e anime che gridano il disagio, il terrore per il male subito, chiedono aiuto, lo urlano, lo sbattono in faccia a volte, e a volte non è cosi semplice esternarlo, giacché non è facile trovare chi lo può accogliere o capire. Allora è meglio non guardarlo. È meglio coprirsi il viso, come se fosse solo un immagine di un cortometraggio, che fa presto a svanire. Ci si illude. Come gli animali, con l’istinto, quando ci si rende conto di non avere armi per proteggersi, non resta che chiudere gli occhi, e non guardare.

Per Antonio Tommasini nella precarietà dell’esistenza e dall’angoscia che ne deriva, l’uomo patisce la violenza del proprio destino e della doppia essenza di vittima e carnefice. Colori e forme si liquefanno a sottolineare l’attesa incerta di qualcosa certo da sempre. In verità con la mia pittura, ci dice l’artista, cerco di rendere tutta la forza della vita, faccio di spazi fabbricati e artificiali luoghi di resistenza quotidiana.

Ramon Trinca, pittore e poeta, presenta in questa mostra l’opera “Verità è il destino che ci è toccato” e della sua ricerca, sul segno o sulle parole, ci dice: "…onestamente non ho mai ricercato, pittoricamente parlando o in quello che scrivo, oscurità o chiarezza…voi onestamente, avete mai domandato chiarezza alla notte?…"

Il discorso presentato da Rudiger Witcher, di denuncia della violenza della guerra, è già stato esplorato molte volte, ma quello che conta e’ la forma della narrazione. Le sue figure, dipinte con lo stile dei graffiti metropolitani, sono esseri mostruosi in bilico tra  l’essere poliziotti,  soldati o androidi fantascientifici. E’ questo un modo originale di dire una cosa che dicono in molti: abbasso la violenza e viva la pace. L’opera di Witcher e’ un urlo, dove si legge che chi vive della violenza e’ vittima, oltre che carnefice, perché costretto a divenire un essere inumano, senza volto, con un corpo camuffato, trasformato in figura robotica senza personalità.

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